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San Cesareo (RM)
Omelia di mons. Sergio Melillo in occasione della Santa Messa del 17 settembre 2024

Omelia pronunciata da mons. Sergio Melillo, vescovo di Ariano Irpino – Lacedonia, in occasione della Santa Messa celebrata il 17 settembre 2024 presso la chiesa di Sant’Anna di Ariano Irpino, durante la quale vi è stato il mandato missionario a suor Virginia Ferrer, suor Maria Agata Szymkowiak e suor Anita Maria Sabrina Maku. Il Vangelo del giorno è: Lc 7,11-17.

Omelia ancora non rivista dall’autore.

 


Gesù continua il suo cammino fra di noi e lo continua reale e concreto attraverso i nostri passi, la nostra vita, le nostre scelte; carissime sorelle. Davvero in noi c’è una grande gioia frammista ad emozione in tutti noi, e anche una gratitudine perché da questa Comunità, da questa chiesa, dove è nato tutto, dove è nata la bella Congregazione delle nostre Suore dello Spirito Santo, quest’oggi fiorisce un nuovo inizio, una nuova missione, un nuovo cammino. E quindi dobbiamo innanzitutto rendere grazie al Signore e rendere grazie anche al coraggio, carissima Madre, della vostra Congregazione di aprire una nuova Comunità in un territorio certamente di antica evangelizzazione, nell’area di Danzica, se non ricordo male è la Diocesi di origine della nostra suor Maria Agata. E questo si trasforma anche in una condivisione, in una ammirazione che dobbiamo avere verso queste nostre tre sorelle che partendo da lontano, certo suor Maria Agata è originaria di quella Diocesi, ma le altre sono di altri territori lontani, hanno il coraggio intraprendere il cammino ed è una bella testimonianza, soprattutto per tutti quanti noi, per me Vescovo, per i miei Sacerdoti, di guardare lontano, non fermarsi, per così dire, al piccolo mondo antico, ma di andar oltre, laddove il Signore ci chiama, laddove il Signore ci invia ad annunciare il Vangelo, per guarire, per liberare, per rimettere in piedi tutti coloro che sono nella prova, con la stessa passione, la stessa determinazione, lo stesso amore, possiamo dire, che ha mosso Gesù a compiere i gesti di guarigione. Siamo testimoni questa sera, in modo particolare, non solo ciascuno di voi, che è legato al ricordo di questo luogo, dove ha vissuto forse gli anni dell’infanzia, dove ha ricevuto i primi rudimenti della fede, ma, permettetemi, c’è una testimone più autorevole, che riposa in attesa della Risurrezione che è Madre Arcucci. E quest’oggi mentre pregavo pensavo che da queste finestre, è un po’ poetica come idea, ma è reale, si affacciassero dal Cielo le tante Suore che nel tempo hanno perseverato, hanno desiderato amare e adorare Gesù in questo luogo. Penso anche a quelle che sono partite qualche anno fa per andare lontano in Indonesia e nelle Filippine, per dare continuità alla bellezza di questo carisma di preghiera e di lavoro, di annuncio e di carità, perché è proprio di questo parlava la Madre prima, ossia di un compito nella Diocesi in Polonia, quindi amorevole agli ultimi, ai poveri, ai più abbandonati La stressa determinazione che ebbe questa giovanissima ragazza, che era Madre Giuseppina Arcucci, di fermarsi in quest’angolo del territorio del Mezzogiorno d’Italia e di dare inizio ad un camino formativo, educativo, di sostegno verso tante povertà che forse più di oggi albergavano nella nostra Città e nelle nostre Comunità. Mi è venuta in mente anche una frase molto bella, poetica, ma reale, tratta dal “Dialogo delle carmelitane” di Geroges Bernanos. Parla di Suore che saranno martirizzate, ma oggi il martirio non solo quello del sangue; è della perseveranza, della fatica e tante volte anche dei pregiudizi che legano le nostre relazioni, degli egoismi, che attraversano la nostra vita, dal senso di potere che non si realizza in quel servizio per il quale e con il quale noi dobbiamo fare i conti. E questo è un luogo di preghiera, dove il silenzio, la preghiera, dove le poche parole, i molti sguardi rivolti al Sacramento devono, per così dire, alimentare i nostri sogni, e dare ragione di ogni nostra attese di ogni nostro desiderio. Quanti sperano nel Signore riacquistano forza e mettono ali come aquile.

Vi auguro carissime sorelle di avere questo coraggio, di mettere le ali, cioè di prendere il volo, di non fermarvi. Correre senza affannarsi. Correre non significa avere lo slancio degli anni della giovinezza, perché il tempo sfugge, tutto passa velocemente, solo Dio rimane, gli anni del vigore fisico certamente vanno via, ma anche nel vigore fisico, molte di voi, carissime sorelle, che sono giovani non devono perdere il coraggio di correre, non di prendere le distanze dalla vita, non di essere circuiti dai social, da tutto ciò che ci distrae dal contatto vero con la vita, ma piuttosto entrare, servire, amare la Comunità, quelle Comunità, che noi abitiamo. Camminare quindi senza mai stancarsi.

La stanchezza può avvolgerci, la delusione può essere una esperienza con la quale siamo chiamati a fare i conti, il dolore di questa madre che perde un figlio, non solo riporta alla realtà di quello che dobbiamo fare: essere vicini agli ultimi che vivono difficoltà reali, non mascherate, non, per così dire, legate a circostanze socialmente rilevanti, ma entrare nel dolore del mondo per condividere, gioia, fiducia, speranza, attese, e i sogni di coloro che ci sono affidati.

Il Signore dice in modo fermo e forte rialzando e ridando vita a questo ragazzo, rivolgendosi alla madre, rivolgendosi a colei che piange, a coloro che portano sempre in modo definitivo verso il compimento ultimo una vita, così spezzata in modo inatteso e inopportuno, è un’immagine bella perché riguarda la nostra condizione ecclesiale; a volte siamo pessimisti, abbiamo paura di osare, siamo per così dire ripiegati su noi stessi, il coraggio è quello di non piangere, di non lamentarci, di avere quella gioia che ha mosso i primi passi della nostra vocazione, di avere, insomma, gli sguardi aperti verso il futuro, di avere la certezza dello sguardo di speranza che Gesù ancora una volta volge su ciascuno di noi e in modo preponderante su queste nostre Sorelle: suor Maria Agata, è bene ripetere i nomi così li porteremo nella preghiera e nel cuore, suor Anita e suor Virginia, possa davvero toccare il cuore spingerci ad essere, malgrado le nostre ferite, i nostri limiti, coloro che rianimano e hanno il coraggio, la volontà, la certezza.

La solitudine non ci appartiene, perché Gesù davvero ci spinge, ci incoraggia ad avere quella forza, quella determinazione di andare verso il futuro, tutto, però, avendo la consapevolezza di doverci affidare a Lui, non in modo formale, potemmo dire convenzionale, ma facendo nostra questa bella espressione che certamente è una espressione che nasce da una guarigione; siamo stati tutti guariti, se non nel corpo nello spirito e il timore per Dio è un timore per amare e per servire.

Davvero attraverso il volto di queste tre donne, di queste nostre tre sorelle che hanno il coraggio, l’obbedienza di intraprendere un cammino nuovo, di dare un senso alla propria vita e possiamo dire “un grande profeta è sorto tra noi” (Lc 7,8). E Gesù che noi adoriamo e verso cui volgiamo lo sguardo particolarmente in questo luogo, ci dia la fortezza, la determinazione per riprendere il nostro percorso di vita e per guardare il futuro con sguardi fiducia e di speranza.